Filosofia Hacker: tecnologia libera e condivisione
Chi sono gli hacker? Nella concezione comune, ce li immaginiamo come oscuri figuri abilissimi con la programmazione e capaci di violare la sicurezza delle reti informatiche, di solito con intenti criminali. Una concezione che riflette certamente un tipo di business oscuro – e lucroso – ma che ben poco rivela sulla vera filosofia hacker e dell’intento che l’ha generata. Già perché il movimento hacker possiede una propria filosofia, un’etica per meglio dire, basata su ideali virtuosi, condivisibili e che tendono al miglioramento del mondo. Ma procediamo con ordine.
La storia del movimento hacker
Il termine ‘hacker’ e con esso, la sua filosofia, nacquero negli anni ‘50 dello scorso secolo presso il MIT – Massachusetts Institute of Technology – di Boston. La parola inglese to hack, inizialmente, faceva riferimento ad attività goliardiche e scherzi, tipici del clima da college americano. Nel contesto del MIT, permeato da competitività e arrivismo, riuscire a dedicarsi ad atti che servissero a stemperare le tensioni quotidiane rappresentava qualcosa di molto più significativo di semplici beffe tra colleghi. Il termine, però, evolse rapidamente: dapprima passò a indicare il districarsi tra i tunnel segreti e i tanti passaggi nascosti il cui ingresso era vietato agli studenti, quindi, a fine decennio, divenne appropriazione degli studenti membri del Tech Model Railroad Club, gruppo dedito al modellismo ferroviario in cui gli hacker, riuniti nel comitato Signals and Power, gestivano i circuiti elettrici dei modelli sviluppati. Gli hacker lavoravano al fine di ottimizzare i sistemi elettrici, riducendo il dispendio di energia e semplificando il sistema di alimentazione dei circuiti.
Fu con l’arrivo al MIT del primo computer, il TX-0, che i membri del Signals and Power abbracciarono l’universo informatico, continuando a tendere verso la semplificazione dei sistemi e l’ottimizzazione delle procedure. Tra il 1961 e il 1962, il team sviluppò il primo prodotto, un gioco chiamato Spacewar! che aveva in sé tutti i principi della filosofia hacker: divertente, intuitivo ma, al contempo, avveniristico sotto il profilo della programmazione e, soprattutto, a licenza gratuita, disponibile per tutti.
I 5 pilastri della filosofia hacker
Ripercorrendo le origini della filosofia hacker è possibile rintracciare tutti gli elementi che danno sostanza all’approccio della comunità: un gruppo che rifiuta la logica dell’individualismo e il conseguente richiamo all’autorità, che coopera, che premia il merito e la capacità di contribuire agli scopi del gruppo. E poi la programmazione vista come una vera e propria arte, che persegue tramite l’estetica del sistema l’eccellenza funzionale e, infine, l’idea che l’informatica possa contribuire a migliorare il mondo. Ecco riassunti così i 5 pilastri della filosofia hacker:
- Informazione libera e accessibile
- Rifiuto dell’autorità
- Giudizio basato sul merito e non sull’etichetta (di razza o di ceto)
- Creazione di bellezza e arte tramite il computer
- Miglioramento del mondo e delle condizioni di vita per tutti
Libertà e condivisione
Libertà e condivisione sono i due focus principali della comunità hacker. L’idea trainante è che attraverso la collaborazione e l’unione delle forze sia possibile raggiungere risultati eccellenti. Il tutto, senza che ci sia bisogno di una gerarchia, di un vertice, di un comando, di qualcuno che impartisce un ordine e di qualcun altro che lo esegue. Condivisione del sapere, delle risorse e dei mezzi sono gli elementi capaci di generare un beneficio per tutti e, alla fine, di generare tecnologie capaci di far stare meglio tutti. Non male, no?