Facebook ha aiutato Trump a vincere le elezioni?
Donald Trump ha vinto le elezioni per le presidenziali e gli Stati Uniti d’America da vero outsider, smentendo pronostici, exit-poll e proiezioni. Le reazioni del mondo sono state di unanime disapprovazione nei confronti di un elettorato giudicato, in maniera forse frettolosa, sconsiderato. In molti hanno additato la cattiva informazione come vero responsabile dell’esito shock delle urne. I sondaggi erano manipolati o, semplicemente, non espressivi del vero disagio della gente, escluso anche dai calcoli probabilistici che tanto ci sforziamo a considerare scienza esatta.
Il ruolo di Facebook nel dibattito
Oggi, ogni informazione viaggia a velocità supersonica sui canali social, di cui Facebook resta espressione massima. E il ruolo recitato dal colosso di Menlo Park ha fatto discutere, e fa discutere tuttora, gli utenti e gli influencer di tutto il mondo. Il fatto: Facebook, in un primo momento, è stato tacciato di partitismo da parte della frangia repubblicana, che ha sottolineato come le notizie circolanti sul web fossero schierate in favore di Hillary Clinton e penalizzanti nei confronti del candidato newyorkese. L’accusa, lecita sotto il profilo dei numeri, non avrebbe dovuto trovare reale riscontro nel concreto, poiché la piattaforma ha utilizzato, fino a quel momento, un equipe interno predisposto a selezionare le storie più lette – i trend topic – individuando al contempo le bufale. Pura analisi dei flussi.
Il j’accuse da parte repubblicana, però, ha convinto i vertici societari a liberarsi del team di analisti per sostituirli con un algoritmo in grado di selezionare le hot news e dare ad esse lo spazio che meritano. Qui però si crea il vero problema: l’algoritmo dimostra da subito le sue lacune e Facebook fa schizzare alle stelle notizie artefatte che riguardano la Clinton, il cyber-spazio dà spazio allo scoop che vuole la ex first lady a rischio arresto a causa di un server privato di posta elettronica; segue la panzana secondo cui il Papa in persona abbia concesso l’endorsement al rosso leader GOP.
La frattura al vertice di Facebook
Facebook, nella persona di Sua Maestà Mark Zuckerberg, rigetta ogni reclamo: “l’idea che false notizie pubblicate su Facebook abbiano influenzato in qualche modo le elezioni è folle – afferma il numero 1 di menlo Park – Se lo pensate, allora non avete capito il messaggio che i sostenitori di Trump hanno voluto mandare”. Una difesa legittima, sacrosanta: Facebook, ha sempre tenuto a sottolineare la dirigenza della società, non è una media company, non fa notizia, non genera contenuti inediti, dà spazio a quelli che già esistono. Il dibattito, qui, potrebbe assumere dimensioni abnormi e abbracciare risvolti più molteplici. Ma la situazione è più stringente e si arricchisce di una nuova puntata nel momento in cui Adam Mosseri, Vicepresidente esecutivo (mica uno qualunque), si lascia sfuggire delle dichiarazioni dal sapore di ammissione di colpe: “c’è molto ancora da fare per individuare la disinformazione”, palesando le fragilità sistemiche ancora evidenti nel sistema della News feed di Facebook.
Che dire? La situazione resta confusa e il dibattito viaggia su binari paralleli; da un lato, il gruppo declina ogni responsabilità e scandisce una volta di più che la piattaforma segue logiche che non sono proprie dell’editoria né che il canale sociale abbia mai avuto alcun ruolo attivo e partecipativo in qualsivoglia discussione di pubblico dominio. D’altro canto, Facebook è diventato il contenitore di riferimento per una fetta di utenti sempre più ampia, per documentarsi su ciò che accade nel mondo, spesso senza neanche porsi domande sulla reale attendibilità di ciò che legge. Qualcuno, però, dovrebbe farsi garante di quella informazione corretta e trasparente che viaggia ogni secondo di ogni giorno sulla bacheca di ogni iscritto. Quel qualcuno non sembra voler essere Zuckerberg.