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Digitale in azienda: ecco quanto serve realmente (nel bene e nel male!)

Nessun commento in web marketing da Redazione Onangel

Un recente sondaggio condotto da EY (Fraud Survey) sostiene che per circa i tre quarti degli intervistati l’utilizzo della tecnologia all’interno delle aziende sarebbe realmente e concretamente utile per poter prevenire o contrastare comportamenti non etici e truffe. A patto, però, di non esagerare: l’89% degli intervistati ritiene infatti che il controllo dei dati – come ad esempio quelli di messaggistica istantanea – potrebbe configurare una violazione della privacy. Dunque, alla domanda esplicita se fossero o meno d’accordo con una raccolta e con un’analisi costante delle informazioni estratte dalle loro caselle di posta, dai telefoni, dai sistemi di sicurezza o dai registri pubblici, gli intervistati non hanno avuto dubbi: meglio di no, almeno in Europa (dove più di un intervistato su due si è detto contrario, rispetto a percentuali ben inferiori in Africa e in India).

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Al di là di quanto sopra, il sondaggio di EY rileva come le aziende che operano in mercati globali abbiano sempre più difficoltà nel conseguire i propri obiettivi a causa di una crescita troppo lenta nei mercati emergenti e a causa di un contesto socio economico incerto a livello globale. A sostenerlo, in Italia, è il 69% degli intervistati, con un dato che si conferma nei Paesi emergenti con il 63% degli intervistati e con punte più elevate del 90% in Oman, dell’85% in Ucraina e dell’84% in Nigeria. In tale ambito, non è certamente un dato di stupore che il 71% degli intervistati italiani abbia affermato che la corruzione è un fenomeno molto diffuso nel proprio Paese, 20 punti percentuali in più della media Emeia.

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Ma siamo sicuri che il digitale possa aiutare concretamente nel superare alcuni dei principali ostacoli verso una strada di maggiore efficienza e di maggiore liceità? Probabilmente sì, ma non occorre farsi illusioni. Lo scoglio principale potrebbe infatti essere quello culturale, visto e considerato che dalla ricerca EY emerge anche che – purtroppo – gli intervistati appartenenti alla c.d. “Generazione Y” (quelli che hanno tra i 25 e i 34 anni di età) sono anche quelli più disinteressati nei confronti dei comportamenti non etici. Addirittura, tre quarti di loro dichiara di poter giustificare un comportamento non etico se è volto a salvaguardare il business, con una percentuale ben superiore a quella degli intervistati di età compresa tra i 45 e i 54 anni, evidentemente meno spregiudicati…

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